Perché serve un approccio end-to-end per generare valore con l’AI

reference architecture

Negli ultimi anni, l’Intelligenza Artificiale (AI) è diventata l’argomento centrale di ogni discussione tecnologica. Non passa giorno senza che qualcuno la definisca una “rivoluzione epocale” o un “punto di non ritorno” per le imprese. La ragione di questa retorica non è affatto complessa: è un dato di fatto che, quando si discute di ciò che sta accadendo nel mercato ICT, ci troviamo di fronte a veri e propri fenomeni trasformativi, che vanno ben oltre la semplice evoluzione. La crescente disponibilità di risorse computazionali sempre più sofisticate, unita alla democratizzazione degli strumenti di Intelligenza Artificiale, sono fattori che permettono virtualmente a chiunque di adottare tecnologie che, in passato, sarebbero state definite “disruptive”. Un termine, quest’ultimo, che ha perso parte della sua forza e precisione a causa dell’abuso che ne è stato fatto negli anni recenti. 

Indipendentemente da come la si voglia definire, resta il fatto che l’Intelligenza Artificiale ha il potenziale di trasformare, anche radicalmente, ogni singolo processo aziendale, sia esso interno all’organizzazione sia rivolto verso l’esterno, coinvolgendo clienti e fornitori.

Tuttavia, l’adozione concreta dell’AI in contesti enterprise rivela una narrazione più complessa e ricca di sfumature. Se, da un lato, l’Intelligenza Artificiale è unanimemente riconosciuta e percepita come una leva imprescindibile per alimentare la competitività, promuovere l’innovazione e ottimizzare i processi aziendali, dall’altro il suo impatto reale e tangibile si è dimostrato, in molti casi, inferiore alle aspettative iniziali. 

Questo divario tra potenziale percepito e risultati effettivi può essere attribuito a una molteplicità di fattori, tra cui la complessità nell’integrazione con i sistemi legacy, la mancanza di competenze specialistiche interne, le sfide legate alla qualità e alla disponibilità dei dati, nonché la difficoltà nel misurare il ROI in contesti non direttamente legati alla produttività.


Il paradosso del successo nell’AI enterprise

Un recente report del MIT, citato in Forbes, ha lanciato un dato sorprendente: solo il 5% dei progetti AI nelle grandi aziende può essere considerato un successo pieno. Vale a dire che solo una piccola frazione riesce a mantenere le promesse iniziali in termini di riduzione dei costi, incremento dell’efficienza o generazione di nuovi ricavi.

Questo non significa che l’AI non funzioni, ma che la distanza tra sperimentazione e valore concreto è ancora ampia. Forse, come suggerisce l’articolo, stiamo misurando i risultati con criteri sbagliati – ad esempio, lo studio MIT non considera tutti gli strumenti AI che vengono utilizzati nel quotidiano da chi lavora nelle grandi imprese e i conseguenti benefici che l’azienda nel suo complesso ne trae. Ma resta un fatto: la maggior parte dei progetti non riesce a superare la fase pilota, oppure non porta benefici proporzionati agli investimenti .


Perché non basta il modello

Uno degli errori più diffusi è pensare che basti “attaccare un modello di AI ai propri dati” per ottenere risultati. In realtà, un modello – per quanto avanzato – è solo un nodo all’interno di una catena molto più lunga. Senza infrastrutture adeguate per raccogliere, arricchire, trasformare e governare i dati, il modello rimane un esercizio di laboratorio.

È come voler costruire un grattacielo partendo dall’attico: senza fondamenta solide e senza impianti che portino energia, acqua e servizi, il piano più alto non serve a nulla.


L’importanza di un approccio olistico

Per trasformare i dati in valore serve dunque un approccio end-to-end, capace di coprire l’intero ciclo di vita dell’informazione, che assomiglia ad un vero e proprio viaggio:

  • I dati non “appaiono” dal nulla, arrivano da fonti eterogenee: sistemi legacy, applicazioni cloud-native, sensori IoT. Nella primissima fase, devono quindi essere raccolti in modo strutturato: tecnologie come Waterstream –  che accoppia MQTT e Apache Kafka – permettono di gestire in tempo reale flussi di eventi anche di miliardi di record. 
  • La seconda tappa è costituita dalle fasi di trasformazione e arricchimento. I dati grezzi hanno poco valore se non vengono normalizzati, aggregati e arricchiti. Qui entrano in gioco pipeline di streaming e strumenti di data engineering, che convertono il dato in asset pronto per l’analisi (ad esempio Apache Flink).
  • Utilizzare modelli AI non significa mettere meccanicamente online un applicativo dopo averlo preparato: serve un approccio ML/LLMOps – un modello non termina la sua vita al momento dell’addestramento. Va distribuito in produzione, integrato nei processi aziendali, monitorato per individuare drift, aggiornato e ritestato. Servono quindi strumenti altamente specializzati (come la Radicalbit Platform) per creare un’infrastruttura di observability e governance, senza la quale i rischi di errore aumentano e la fiducia del business cala.
  • Business logic e digital services – il punto finale: decisioni automatizzate, servizi digitali più intelligenti, customer experience personalizzate. È qui che l’AI deve dimostrare il suo valore, restituendo benefici concreti e misurabili.

In Bitrock definiamo questa visione come una reference architecture: un insieme integrato di framework, strumenti e metodologie che consente di liberare il potenziale latente dei dati e portarlo fino alle applicazioni di business.

La cultura della complessità

Il successo non dipende solo dalla tecnologia, ma anche dalla cultura aziendale. Le organizzazioni che vedono l’AI come un progetto isolato, magari confinato al dipartimento IT, difficilmente riescono a trasformarla in valore. Quelle che la considerano invece parte di una strategia più ampia – che unisce governance, competenze, processi e infrastrutture – hanno molte più probabilità di successo.

Serve dunque abbracciare la complessità, non temerla. Un approccio end-to-end consente non solo di gestire meglio i rischi, ma anche di accelerare il passaggio dal proof of concept al production grade.


Conclusione

Il messaggio chiave è semplice: l’AI non è un fine, ma un mezzo. È un punto cruciale del viaggio dei dati, che inizia al momento della loro creazione e termina solo quando diventano decisioni o servizi capaci di generare valore.

Le imprese che adotteranno una visione olistica, supportata da architetture integrate e da una cultura orientata alla governance, saranno quelle capaci di trasformare la promessa dell’AI in realtà.

In Bitrock abbiamo tutte le competenze per accompagnare i Clienti in questo viaggio. Scopri di più sui nostri servizi ed entra in contatto con i nostri professionisti per una consulenza dedicata.

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